31/08/2016
SM 3909 -- Acquia dolce dal mare -- 2016
Villaggio Globale, 19, (75),
settembre 2016
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Alla fine del secolo scorso la produzione mondiale di acqua potabile dal mare e dalle acque salmastre
ammontava a 5 miliardi di metri cubi all’anno. La tecnologia della dissalazione ha fatto grandi progressi che la produzione di acqua potabile dal
mare e dalle acque salmastre nel 2016 ammonta, nel mondo, a circa 35 miliardi di metri
cubi all’anno (sette volte la quantità di acqua potabile distribuita in tutte
le case in tutta Italia) e disseta più di 300 dei circa 7300 milioni di
abitanti della Terra.
Come è ben noto, l’acqua
“utile” come bevanda, per la cottura e la trasformazione degli alimenti, per la
crescita della vegetazione e degli animali da carne, per l’igiene domestica,
per le industrie, deve avere un contenuto di sali non troppo elevato (da trenta
a cinquanta volte di meno di quello dell’acqua di mare), non deve contenere
particolari elementi dannosi in quantità superiori a limiti ben precisi, tanto
che di tutta l’acqua presente sul pianeta meno di un millesimo è utile a fini
umani, e solo una frazione ancora più piccola è utile per l’alimentazione e
l’igiene.
L’acqua “sembra” una risorsa
rinnovabile, perché ritorna sempre con le piogge, ma la quantità di acqua dolce
utile e “buona”, disponibile sul pianeta, diminuisce ogni anno per i mutamenti
climatici e perché l’acqua dei fiumi e dei laghi e del sottosuolo, nelle zone
abitate, viene contaminata da rifiuti e sostanze tossiche.
Il risultato di tutto questo
è “la sete”; per far fronte a questo flagello si possono costruire laghi
artificiali o si possono depurare le acque inquinate oppure si può “fabbricare”
acqua potabile e utile togliendo i sali dall’acqua di mare o dalle acque
salmastre non utilizzabili.
L'era
moderna della dissalazione si può dire cominciata con le grandi siccità
verificatesi in California fra il 1930 e il 1940. Fu però specialmente durante
la seconda guerra mondiale, quando migliaia di persone di tutti i paesi furono
costrette a vivere in zone aride e in isole deserte, che il problema della
dissalazione dell'acqua di mare si presentò sotto nuove prospettive e solo
l'acqua dolce ottenuta dal mare riuscì a salvare innumerevoli vite.
Dopo
la fine della seconda guerra mondiale la dissalazione apparve come un mezzo per
far fronte alle crescenti necessità idriche dell'umanità. Nel 1952 lo stato
della California finanziò un programma di ricerche nel campo della dissalazione
delle acque salmastre e dell'acqua di mare e nello stesso anno, nell'ambito del
Dipartimento dell'Interno degli Stati Uniti, fu creato uno speciale ufficio,
l'Office of Saline Water, con il compito di incoraggiare ricerche di base e la
costruzione di impianti sperimentali.
Il
23 febbraio 1961 John Kennedy, allora presidente degli Stati Uniti, lanciò un
messaggio per sottolineare l'importanza della dissalazione. "Nessun programma ha maggiore importanza per
il futuro --- non solo per noi, ma per i paesi aridi di tutto il mondo ---
della ricerca di un mezzo efficiente ed economico per trasformare l'acqua dei
mari e degli oceani --- la più grande riserva idrica della natura --- in acqua
usabile dagli uomini e dalle industrie. Tale realizzazione metterebbe fine alle
lotte fra vicini, fra stati e nazioni e darebbe nuove speranze a quanti
soffrono per la mancanza di acqua dolce --- e di tutti i relativi vantaggi
materiali ed economici --- pur passando la loro vita stentata accanto ad una
enorme massa di acqua."
Negli anni dal 1955 al 1980
sono stati sperimentati e collaudati decine di processi e impianti di
dissalazione in tutto il mondo.
Oggi gli impianti di
dissalazione esistenti nel mondo funzionano per circa un terzo con il processo
di distillazione multiflash, che richiede calore, e per due terzi con il
processo di osmosi inversa che richiede elettricità.
La separazione di una certa
quantità di acqua priva o povera di sali dall'acqua di mare (o dalle acque
salmastre) “costa” energia, quella necessaria per superare la forza che tiene
insieme le molecole di acqua e quelle dei sali disciolti. La termodinamica
mostra che il minimo consumo teorico di energia per la separazione di un metro
cubo di acqua priva di sali da una quantità infinita di acqua marina risulta, a
25°C, circa 2,5 MJ. Questo potrebbe essere considerato il minimo "costo
energetico" dell'acqua dissalata.
Il processo di
distillazione è basato su un principio abbastanza semplice, ispirato a quello che
sta alla base del ciclo naturale dell’acqua; sul pianeta il calore solare
scalda l’acqua presente negli oceani, nei mari e sulle terre emerse e ne trasforma
una parte dallo stato liquido a quello di gas che si miscela con i gas
dell’aria; quando il vapore acqueo contenuto nell’aria viene a contatto con dei
corpi freddi, come aria fredda o le vette delle montagne, ritorna allo stato
liquido sotto forma di pioggia o sotto forma solida di neve o grandine.
Nei distillatori l'acqua di
mare viene scaldata, entro una serie di camere metalliche nelle quali viene
fatto un vuoto progressivamente sempre più spinto; una parte dell'acqua di
mare, adesso calda, evapora e il vapore acqueo, privo di sali, viene portato a
contatto con tubazioni al cui interno scorre acqua di mare più fredda; l'acqua
si condensa sulla superficie di tali tubazioni allo stato puro e pre-riscalda
l'acqua di mare che entrerà successivamente nelle camere di evaporazione.
Gli impianti multiflash sono
per lo più abbinati a centrali termoelettriche a combustibili fossili; il
calore di raffreddamento delle turbine vene impiegato per l’evaporazione
dell’acqua di mare nel distillatore e l’elettricità è usata per azionare le
pompe per la circolazione dell’acqua e per il vuoto.
Il costo energetico
dell’acqua distillata in questi impianti è in continua diminuzione, grazie a perfezionamenti
tecnici relativi ai materiali impiegati per gli scambiatori di calore e alla
diminuzione delle incrostazioni. Circa la metà dell’acqua di mare in entrata
viene eliminata sotto forma di salamoia con una concentrazione salina circa
doppia rispetto a quella dell’acqua di mare. Il processo richiede circa 100 MJ
di calore e 2 – 3 kWh (7-12 MJ) di elettricità per ogni metro cubo di acqua
dissalata, un valore circa 40 volte superiore al “costo energetico minimo”.
I due terzi dell’acqua
dissalata nel mondo sono ottenuti negli impianti a osmosi inversa. Tali
impianti utilizzano un processo basato sul ben noto fenomeno fisico
dell’osmosi: immaginiamo di comprimere l’acqua di mare ad una pressione
superiore a 27 atmosfere (corrispondente alla sua “pressione osmotica”) contro
una membrana, per esempio una pellicola di un materiale speciale, capace di far
passare l'acqua e non i sali, o, come si suol dire, semipermeabile, immersa in
acqua dolce. Si osserva che l'acqua passa dalla soluzione salina verso lo scompartimento
contenente acqua dolce e si ottiene così, per “osmosi inversa”, l'estrazione di
acqua dolce da quella salina, cioè una dissalazione, proprio quello che
vogliamo.
Tale tecnologia è stata messa
a punto negli anni 50 in seguito alla scoperta che alcune membrane,
originariamente di acetato di cellulosa e poi di materiali sintetici, possono
essere preparate con delle asimmetrie sulle due facce, un successo di ricerche
chimiche dovuto in gran parte all’israeliano Sidney Loeb.
Comprimendo
l’acqua da dissalare ad una pressione di 40-80 atmosfere (quindi superiore alla
sua pressione osmotica) su una delle due facce della membrana semipermeabile,
immersa in acqua dolce, attraverso la membrana passa acqua con basso contenuto
salino mentre dall’altra parte resta una soluzione (salamoia) con salinità
superiore a quella dell’acqua originale. La tecnica del processo di osmosi
inversa è migliorata quando sono state inventate delle membrane costituite da
sottili fibre vuote all'interno, delle specie di microscopici tubi al cui
interno viene posta acqua dolce e al cui esterno viene fatta circolare sotto
pressione l'acqua marina o salmastra da dissalare.
In
alternativa le membrane piane possono essere avvolte in forma di spirale
cilindrica intervallate da fogli porosi in cui circola alternativamente acqua
salina e acqua dolce dissalata, il tutto posto entro cilindri resistenti alla
pressione.
L'unica
fonte di energia è rappresentato dall'energia elettrica necessaria per azionare
le pompe che comprimono l'acqua di mare contro le membrane e che fanno
circolare l'acqua salmastra da rigettare nel mare. Nel caso dell’acqua di mare
il consumo di elettricità per le pompe e i compressori è ormai 3 – 4 kWh (10-15
MJ) per metro cubo di acqua dissalata, circa 6 volte il “costo
energetico minimo”.
Il successo del processo di
osmosi inversa rispetto a quello di distillazione è dovuto al fatto che il
primo si presta bene ed è largamente usato anche per la dissalazione di acque
salmastre nel quale caso la dissalazione avviene sottoponendo l’acqua da dissalare
ad una pressione tanto minore quanto è minore la salinità dell’acqua da
trattare.
Un importante
problema riguarda lo smaltimento delle salamoie che si formano in entrambi i
processi; la loro immissione di nuovo nel mare o in un fiume può provocare
alterazione degli ecosistemi, anche se di recente sono stati messi a punto
processi per recuperare da tali salamoie dei sali di interesse commerciale,
come quelli di magnesio e forse in futuro anche altri, come quelli di litio, sempre
più ricercati per le batterie, presenti nelle salamoie dei distillatori di
acqua marina in concentrazione di circa 0,4 grammi per metro cubo.
Esistono poi anche degli ingegnosi
sistemi di dissalazione che utilizzano l’energia solare e che sono in grado di produrre
acqua dolce dal mare in ragione di qualche litro al giorno per ogni metro
quadrato di superficie esposta al Sole, adatti per piccole comunità, famiglie,
residenze turistiche nelle isole o sulle coste aride.
Nonostante decine di
dibattiti e di conferenze in Italia la dissalazione ha fatto pochi passi; un
grande impianto costruito in Sardegna negli anni settanta del Novecento fu
smantellato dopo pochi anni; solo all’inizio del 2007 è entrato in funzione a
Porto Empedocle, in Sicilia, un dissalatore capace di produrre 3 milioni di
metri cubi di acqua dolce all’anno, che si aggiunge a pochi altri a Gela e
nelle isole minori. In tutto, fra acquedotti urbani e industrie, l’acqua dolce
prodotta dal mare in Italia ammonta a pochi milioni di metri cubi all’anno.
La produzione di acqua
potabile dal mare per dissalazione ha molti nemici. Il ritornello che si sente
sempre ripetere è che l’acqua dissalata “costa troppo”; il costo attuale di circa
2-3 euro al metro cubo è ormai simile a quello dell’acqua potabile distribuita
dagli acquedotti ed è molto inferiore al prezzo dell’acqua in bottiglia, circa
200 euro al metro cubo.
I critici della dissalazione
sostengono che la fabbricazione di acqua dolce dal mare richiede energia ma i
distillatori potrebbero utilizzare il calore di rifiuto di centrali
termoelettriche e di impianti industriali, oggi dissipato nel mare o nell’aria.
Abbastanza curiosamente anche
fra gli ambientalisti, fra coloro a cui dovrebbe stare a cuore la guerra alla
sete, qualcuno sostiene che il prelevamento dell’acqua marina da avviare agli
impianti di dissalazione altera alcuni ecosistemi, disturbi che comunque, a mio
modesto parere, sono sopportabili se si pensa al dolore e ai sacrifici di chi,
come il vecchio marinaio della poesia di Coleridge, assetato e alla deriva su
una zattera nel mare, ha intorno a se “Acqua, acqua dovunque, e non una goccia
da bere”. Lo stesso grido viene nel mondo da tante centinaia di milioni di
persone che abitano sulle coste degli oceani e sono privi del più essenziale di
tutti i beni, l’acqua dolce, una situazione che i cambiamenti climatici in corso
tendono ad aggravare.
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