12/07/2016
Seveso, quarant'anni dopo
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 12 luglio 2016
Seveso
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Era
una bella mattina estiva di sabato, quel 10 luglio di quarant’anni fa, quando
dal camino di una fabbrichetta di Meda, a nord di Milano, la Icmesa, uscì un
getto di polvere bianca che, trascinata dal vento, si diresse lentamente verso
sud, e ricadde al suolo nel territorio del vicino Comune di Seveso. Ben presto
gli animali domestici morirono e comparvero delle pustolette sulla faccia
dei bambini che giocavano all'aria aperta ed erano venuti a
contatto con la "nube".
Ci
vollero alcuni giorni per ricostruire l'andamento dell'incidente. La
Icmesa --- una società di proprietà della Givaudan, a sua volta appartenente
alla multinazionale svizzera Hoffmann-La Roche --- fabbricava composti chimici
organici, intermedi per la produzione di cosmetici ed erbicidi, fra cui il
triclorofenolo, per reazione del tetraclorobenzolo con idrato di sodio a caldo
dentro un "reattore".
La
sera del venerdì 9 luglio 1976, alla fine della settimana di lavoro, nel reattore
era rimasta la miscela che avrebbe dovuto essere trasformata, il
lunedì successivo, in triclorofenolo. La massa era raffreddata con
una corrente di acqua, ma la mattina di sabato 10 luglio il
raffreddamento si interruppe e la massa si scaldò a circa 250 gradi, con
un aumento della pressione; si ebbe la fuoriuscita
dal reattore e la dispersione nell’aria esterna di alcune tonnellate di triclorofenato
di sodio, di idrato di sodio e di "altre
cose", sottoprodotti della reazione fra cui alcuni chili di una sostanza
chiamata "diossina", in realtà la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-para-diossina
(o TCDD), una delle molte "diossine" clorurate che si formano
quando molti composti organici contenenti cloro vengono scaldati ad
alta temperatura. La "diossina di Seveso" era la più tossica di tutte
le diossine ed è responsabile della comparsa di tumori e di cloracne.
La
formazione di diossina era stata osservata in altre fabbriche di triclorofenolo,
una sostanza usata per produrre il disinfettante esaclorofene (di cui erta
stato vietato l’uso) e alcuni erbicidi come quelli denominati 2,4-D e 2,4,5-T. Erbicidi
contenenti diossina come impurezza di lavorazione, erano stati usati dagli
Americani durante la guerra nel Vietnam per distruggere la foresta in cui si
nascondevano i partigiani Vietcong. Dal 1970 l'uso agricolo dei due erbicidi era stato
vietato in Italia.
L'incidente
di Seveso ebbe gravi conseguenze umane e sociali. La popolazione di Seveso
rimase sola, spaventata, stordita, fra minimizzazioni e incertezze. Molte famiglie
abitanti nella zona contaminata furono fatte sfollare; Laura Conti
(1921-1993), medico e appassionata ecologista, raccolse la voce dei
bambini, delle donne e degli uomini di Seveso e alla loro umana paura
dedicò delle pagine bellissime.
Col
passare del tempo i dirigenti della Icmesa furono processati, si cercò di
accertare le responsabilità; una parte del paese di Seveso fu abbandonata
per sempre. La zona più contaminata è stata bonificata e trasformata in un’area
verde denominata “Bosco delle querce”. Macchinari, muri della fabbrica e altri
materiali contenenti diossina in parte sono stati trasferiti all’estero e in
parte sono stati sepolti, insieme al terreno asportato dalla zona più contaminata,
in due grandi vasche, tenute continuamente sotto controllo, una di 60.000 metri
cubi nel Comune di Meda e una di 200.000 metri cubi nel Comune di Seveso.
L'unico
sottoprodotto positivo dell’incidente di Seveso, considerato fra i dieci più
gravi incidenti industriali della storia, fu un forte progresso nelle
conoscenze chimiche sulle diossine, la cui presenza fu scoperta in
moltissimi altri materiali, nei fumi degli inceneritori dei rifiuti solidi,
nei gas che si formano bruciando il cloruro di polivinile, una materia
plastica, in molti residui industriali.
Il
ricordare, a tanti anni di distanza, questo evento non è banale. Per la prima
volta, su una scala senza precedenti, l'opinione pubblica italiana,
europea e mondiale si rese conto che il territorio è cosparso di fabbriche
e fabbrichette che maneggiano e trattano e trasformano sostanze pericolose,
senza che nessuno degli abitanti vicini, e spesso nessuno dei
pubblici amministratori, sappia che cosa contengono, che cosa producono,
che cosa occorre fare in caso di incidente.
L’Unione
Europea decise di emanare delle norme per regolare la presenza delle
industrie a rischio. La "direttiva Seveso" del 1982, con
varianti nel 1996 e nel 2012, suddivide le industrie in due classi, a
rischio e ad alto rischio, sulla base del tipo e della quantità delle
sostanze tossiche e pericolose che ciascuna contiene. Le autorità devono
essere informate delle sostanze pericolose presenti in ciascuno stabilimento e
devono essere predisposti dei piani di emergenza in caso di incidenti.
Le
industrie sono importanti perché producono merci utili per la nostra vita, e
assicurano lavoro e reddito per le famiglie, ma possono anche essere fonti di
pericoli sia per i lavoratori sia per chi abita nelle vicinanze. E' possibile
avere occupazione, lavoro, beni materiali, con minori rischi e pericoli, con
minori inquinamenti, ma soltanto con un salto di cultura merceologica e anche
con una migliore conoscenza della storia e della geografia dell’industria.
Ben
pochi sanno che cosa si produce in quel capannone, in quello stabilimento, che
cosa esce da quel camino, che pure vediamo là, fuori dalla finestra della
scuola, della casa, alla periferia delle nostre città. E, altrettanto
importante, che cosa si è prodotto in passato, quali scorie sono rimaste depositate,
nei decenni, in qualche terreno o discarica di cui si è perfino persa la
memoria ?
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