23/10/2015
SM 3785 -- Dove troveremo tutto il pane/Per sfamare tanta gente ? -- 2015
Ambiente Società
Territorio,
60, (N.S. XV), (2-3), 37-38
(marzo-giugno 2015)
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
“Dove
troveremo tutto il pane/Per sfamare tanta gente ?”. Ci eravamo già posti questa
domanda, i primi versi di una nota canzone scout, sette anni fa, nel fascicolo
di maggio-agosto del 2008, e ce la riponiamo oggi anche per la vasta attenzione
riscossa dall’Esposizione universale di Milano EXPO 2015 che ha proprio il
tema: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. In questi sette anni la
popolazione terrestre, zitta zitta, è aumentata di quasi 500 milioni di
persone: zitta zitta perché questi nuovi abitanti del nostro pianeta, bambine e
bambini, non hanno ascolto nelle trasmissioni televisive se non per affrettate
comparse in qualche documentario, con le loro pance gonfie e i loro occhi
sbarrati per la paura e la fame. Perché questa è la condizione della maggior
parte dei nuovi nati di questi anni.
Come
è ben noto, ogni persona per vivere ha bisogno, in media, ogni anno di circa
500 chilogrammi di alimenti costituiti principalmente da carboidrati, come lo
zucchero o l’amido dei cereali o delle patate, da grassi come gli oli e il
burro, e da fibre cellulosiche contenute nelle verdure e nella frutta. Ogni
persona inoltre ha bisogno di circa 50 grammi di proteine, delle quali almeno
20 devono venire o dalla carne e dal pesce, da uova o latte e derivati o da
leguminose, alimenti più ricchi di amminoacidi essenziali per la sopravvivenza,
proprio quelli che in genere mancano nella dieta dei poveri; e, infine, ha
bisogno di circa 1000 kg all’anno di acqua “alimentare”.
Il cibo non nasce in scatola nei negozi,
ma dalla Terra, nel mondo agricolo, un settore di attività che le statistiche
classificano come “primario” dell’economia, ma che è in realtà l’”ultimario”
nell’attenzione dei governanti. L'agricoltura è la più grande fabbrica di beni
indispensabili per la nostra vita; partendo dai gas dell'atmosfera, dall’acqua
e dai sali del suolo, l’agricoltura, con la “forza” dell’energia solare,
"produce" una enorme varietà di molecole. L'agricoltura continua il suo
ciclo nella zootecnia, in quegli organismi "consumatori" che
trasformano le sostanze organiche vegetali in altre molecole organiche. Entro
ciascuna "classe" di molecole la natura si sbizzarrisce, in ogni
pianta o animale, a offrire sostanze la cui conoscenza è ancora purtroppo in
gran parte incompleta.
La massa delle specie vegetali e animali
presenti nella biosfera ammonta a molti miliardi di tonnellate, sostanze che
decadono e si rigenerano in ragione di circa 100 miliardi di tonnellate
all’anno sulle terre emerse e altrettante nelle acque interne e nei mari.
Eppure, nonostante la grandissima ricchezza della natura, le specie di piante e
animali di interesse "economico" alimentare sono limitate a poche
centinaia e sono aumentate di poco anche dopo la conquista, da parte degli
Europei, di nuove terre nei continenti americano, africano e asiatico.
Nel mondo la massa di materie agricole di
interesse alimentare si può stimare di circa 30 miliardi di tonnellate
all’anno, circa 10 miliardi di cereali, altri 10 miliardi di foglie, semi
oleosi, tuberi, eccetera, e altri 10 miliardi, sempre di tonnellate all’anno
nel mondo, di biomassa vegetale sono assorbiti dalla zootecnia. Di questa
biomassa soltanto circa 3 miliardi di t/anno arrivano sulla tavola degli oltre
sette miliardi di esseri umani.
I prodotti vegetali e animali, prima di
diventare “cibo” per le persone, passano attraverso operazioni di trattamento,
trasformazione e conservazione: i prodotti risultanti passano poi attraverso
negozi e impianti di distribuzione I cereali vengono macinati e trasformati in
sfarinati e poi, nel caso del frumento, in pane, pasta e dolciumi, con una
perdita di biomassa sotto forma di cruscami. Lo zucchero viene separato dalle
barbabietole (in Italia e in Europa, dalla canna nei paesi tropicali) con una
resa di circa il 20 % rispetto al peso delle piante trattate. Gli oli e grassi
sono separati dai frutti o dai semi oleosi mediante processi di estrazione che
lasciano pannelli e residui contenenti anch’essi una parte dell’acqua assorbita
nel ciclo vegetativo. Lo stesso avviene nei processi di trasformazione e
conservazione dei frutti, nella produzione di conserve, bevande alcoliche,
eccetera.
Altre
perdite di biomassa si hanno nei processi di macellazione: si può stimare che da
circa 1000 kg di “peso vivo” animale, con un contenuto di circa 500 kg di
acqua, si ricavino circa 500 kg di “peso morto” dell’animale, dai quali si
ottengono i vari “quarti” che saranno trasformati in prodotti conservati o
avviati al consumo diretto nelle macellerie e inoltre un “quinto quarto”,
costituito da pelle, sangue, interiora, eccetera. La zootecnia inoltre offre,
oltre alla carne, altri importanti alimenti come lette e derivati e uova,
ricchi di proteine pregiate.
Per
farla breve, nel caso dell’Italia, delle circa 200 milioni di tonnellate di
biomassa vegetale fornita ogni anno dai campi coltivati e dai pascoli, la
biomassa alimentare “consumata”
dalle famiglie e dalla ristorazione collettiva si può stimare, nello stesso
anno, di circa 30 milioni di tonnellate. Ma anche della preziosa biomassa che
arriva sulle tavole una parte, stimata in circa 2 milioni di tonnellate
all’anno, va perduta per cattiva conservazione, perché non gradita, per perdite
di cucina, perché in eccesso rispetto al fabbisogno.
Questa
amara storia di materia vivente vegetale e animale analisi perduta per strada,
dai campi alla tavola, prima di diventare “cibo” umano è stata l’oggetto di un
recente incontro, organizzato dal Museo dell’Industria e del Lavoro MusIL di
Brescia, negli ultimi giorni di aprile 2015 sul tema: “Le tre agricolture”. I
numerosi interventi hanno ricordato che da quando, diecimila anni fa, i nostri
predecessori hanno smesso di raccogliere frutti e semi e di cacciare gli
animali selvaggi e si sono trasformati in coltivatori e allevatori, l’agricoltura
contadina è stata la fonte del cibo per gli abitanti delle campagne, dei borghi
e delle piccole città. In generale il ciclo dal campo, alla stalla alle
famiglie era abbastanza corto e gli sprechi e le perdite erano ridotti e le
coltivazioni erano in armonia con i cicli ecologici naturali, con la fertilità
del suolo, con la disponibilità delle acque.
La
nascita delle grandi città industriali, a partire dall’Ottocento, ha
allontanato sempre di più i consumatori di cibo dalla fonte di produzione; per
soddisfare la crescente richiesta di alimenti, inoltre, la produzione agricola
ha avuto bisogno di concimi artificiali, macchinari per la lavorazione del
suolo e per la raccolta dei prodotti agricoli, tecniche di conservazione e
trasformazione, tutte cose che potevano essere fornite soltanto dall’industria.
Nello stesso tempo, sempre a partire dall’Ottocento, l’invenzione delle grandi
navi veloci e dei sistemi frigoriferi che potevano essere utilizzati su navi,
carri ferroviari, camion, ha portato sulla tavola degli abitanti dei paesi
industriali sempre nuovi alimenti tratti in quantità crescente dall’agricoltura
dei paesi poveri e arretrati, quelli che una volta si chiamavano “terzo mondo”.
Questi sono stati così spinti a sacrificare parte dei propri territori, fino
allora utilizzati per una agricoltura “contadina”, per produrre le materie
richieste per l’alimentazione (e anche per la produzione industriale: gomma,
fibre tessili, legname, eccetera) dei paesi ricchi.
A
poco a poco l’intervento dell’industria e del commercio ha allontanato sempre
più i consumatori di alimenti dall’agricoltura, dai campi; un processo che il
convegno di Brescia ha indicato come la “seconda agricoltura”, quella
industriale. Con alcuni aspetti ecologici negativi; un crescente consumo di combustibili
fossili e di energia per unità di sostanza nutritiva prodotta; una crescente richiesta
di acqua con impoverimento delle riserve idriche di buona qualità; parte dei
concimi e pesticidi usati in eccesso finiscono nel terreno e contribuiscono
anch’essi alla contaminazione delle acque. Le coltivazioni intensive alterano
la struttura e la fertilità del suolo e a poco a poco lo rendono sempre meno
produttivo. La diffusione degli allevamenti intensivi anche nei paesi avanzati
ha portato all’”industrializzazione” anche della zootecnia, con formazione di
grandi masse concentrate di residui ed escrementi che inquinano il suolo e le
acque. Insomma: alterazione dei cicli naturali e perdite di materie nutritive preziose
nelle trasformazioni che piegano i prodotti della natura alle esigenze della distribuzione
commerciale e ai gusti dei consumatori, dominati dalla pubblicità.
E
non è di grande utilità neanche la diffusione dell’agricoltura “biologica” che,
pur promettendo di usare meno concimi sintetici e antiparassitari e di
adattarsi ai cicli naturali, per ragioni di mercato deve adattarsi alle regole
dell’agricoltura industriale.
Per
farla breve, l’obiettivo di “nutrire il pianeta”, come propone l’EXPO di Milano,
ha oggi un costo sotto forma di modificazioni negative della stessa base
naturale, fisica e chimica, di tale cibo, sia nei paesi industriali, sia in
quelli emergenti e poveri in cui la richiesta di piante e animali alimentari “economici”,
vendibili, sta alterando equilibri ecologici che duravano da secoli.
La
soluzione va cercata in una svolta verso una agricoltura “ecologica” capace di
offrire alimenti genuini e soddisfacenti in armonia con l’ecologia, capace di
valorizzare il lavoro agricolo e di condurre una efficace battaglia contro lo
spreco di sostanze nutritive, attenuando l’insostenibile divario fra abitanti
dei paesi ricchi, malati di eccesso di cibo e obesità, e quel miliardo di
persone che, nel mondo, ha a disposizione una quantità insufficiente di sostanze
nutritive. Uno scandalo intollerabile; già il 9 dicembre 2013 il Papa Francesco
ha invitato le istituzioni e ciascuno di noi “a dare voce a tutte le persone
che soffrono silenziosamente la fame, affinché questa voce diventi un ruggito
in grado si scuotere il mondo”. Un ruggito, capite ?
C’è
lavoro anche per noi che, come studiosi e insegnanti “della Terra”, di questo
“pianeta degli uomini”, abbiamo l’occasione (direi anche: il dovere) di
spiegare le cause della crescente disuguaglianza fra ricchi e poveri, fra obesi
e affamati.
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