07/07/2015
#3781 -- Oceani grande bene comune -- 2015
La
Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 7 luglio 2015
Giorgio
Nebbia nebbia@quipo.it
Nei giorni scorsi si è celebrata l’annuale giornata
mondiale degli oceani, con scarsa attenzione da noi, forse perché siamo una piccola
penisola affacciata nel Mediterraneo, che è sostanzialmente un piccolo lago,
con una superficie di meno dell’uno percento di quella degli oceani. Appaiono
quindi lontani gli oceani, Atlantico, Pacifico, Indiano, che pure occupano più dei
tre quarti della superficie del nostro pianeta, come appare guardando un mappamondo,
quella sfera che rappresenta la superficie della Terra, che dovrebbe essere
regalato ad ogni bambino quando comincia le scuole.
Il volume dell’acqua degli oceani è di
circa 1400 milioni di chilometri cubi (circa 1400 milioni di miliardi di
tonnellate) mentre le terre emerse hanno un volume di appena 120 milioni di
chilometri cubi. Il mare riceve oltre i due terzi della radiazione solare che
raggiunge la superficie del pianeta e funziona quindi da grande collettore di
energia, da termosifone planetario. Infatti l’acqua oceanica, alla temperatura
media di circa 15 gradi Celsius, si sposta continuamente sotto forma di correnti
che rinfrescano le zone calde e riscaldano quelle fredde. Il calore solare fa
evaporare dalla superficie degli oceani, ogni anno, 500.000 miliardi di
tonnellate di acqua che si miscelano, allo stato di vapore, nei 5 milioni di
miliardi di tonnellate dei gas dell’atmosfera; le correnti atmosferiche portano
il vapore acqueo, che ha “dentro di se” il calore assorbito nell’evaporazione,
a contatto con le zone fredde degli stessi mari e dei continenti e qui il
vapore acqueo si condensa e ritorna sulla superficie del pianeta, circa 100.000
miliardi di tonnellate all’anno soltanto
sulle terre emerse, restituendo alle zone fredde il calore che ha assorbito
evaporando.
Anche piccole variazioni di temperatura
delle acque oceaniche, come quelle provocate dal lento continuo aumento della
temperatura media del pianeta per “effetto serra”, fanno sentire i loro effetti
sui continenti facendo aumentare o diminuire le piogge che rendono fertili
foreste e pianure, ma che talvolta si abbattono sotto forma di tempeste e
tornado sui continenti e lungo le coste.
Gli oceani sono pieni di esseri viventi: 50-100 mila
miliardi di tonnellate, dalle alghe “fabbricate” per fotosintesi con la radiazione
solare e con l’anidride carbonica oceanica, agli organismi “consumatori” che si
nutrono delle alghe fotosintetiche, ai tanti esseri marini e che, a loro volta,
sono prede di altri esseri viventi; legati fra loro da catene
alimentari (quelle che nel parlare comune vengono descritte con la banale
frase: “il pesce grande mangia il pesce piccolo”) con una diversità e ricchezza
che conosciamo soltanto in piccola parte. Gli esseri viventi oceanici
forniscono anche un contributo all’alimentazione, umana anche se il
pescato, circa 100 milioni di tonnellate all’anno, è una
modesta quantità rispetto ai circa 4000 milioni di tonnellate di alimenti
forniti dall’agricoltura e dalla zootecnia.
Gli oceani sono fonte di materiali
commerciali; la grande massa di acqua contiene disciolti circa 50
milioni di miliardi di tonnellate di sali, uno di quali è il cloruro sodico, il
“sale” comune alimentare; una piccola parte, appena 90 milioni di tonnellate
all’anno, viene recuperato nelle saline solari costiere. Col
progressivo esaurimento delle riserve di petrolio e di idrocarburi esistenti
sui continenti aumenta l’estrazione di questi combustili dai depositi che si
trovano sotto il fondo degli oceani, con trivelle che si spingono a profondità
sempre maggiori, spesso con perdite di petrolio o incendi.
Tutto comincia dagli oceani e tutto finisce
negli oceani; essi sono infatti il collettore di tutti i rifiuti prodotti sui
continenti dalle attività umane, dall’agricoltura, dall’industria, dalle città,
trascinati dalle piogge e dai fiumi: si tratta di prodotti dell’erosione del
suolo, di sostanze organiche, veleni, sostanze radioattive, pesticidi. Molti di
questi, non biodegradabili come le materie plastiche, restano a lungo e anzi
finiscono per galleggiare e addirittura si aggregano in grandi masse che
coprono larghi tratti della superficie degli oceani, come quelle specie di enormi
isole galleggianti di plastica osservate nell’Oceano Pacifico settentrionale.
Negli oceani finiscono i rifiuti delle navi e vengono fatti sparire i rifiuti
che sarebbe vietato e più costoso seppellire sotto terra.
Dei circa 35 miliardi di tonnellate all’anno di gas
inquinanti prodotti dalle attività umane e immessi nell’atmosfera circa la metà
è assorbita o trascinata dalle piogge negli oceani; in particolare l’assorbimento
dell’anidride carbonica, il principale “gas serra” responsabile dei mutamenti
climatici, rende lentamente “più acida” l’acqua degli oceani, un effetto che fa
diminuire la formazione nel mare del carbonato di calcio, indispensabile per la
vita marina, e anzi compromette per corrosione la sopravvivenza dei coralli.
Molte delle offese provocate dalle attività
umane agli equilibri chimici e ecologici degli oceani hanno la loro origine nel
fatto che gli oceani non sono di nessuno e quindi, al di fuori di una ristretta
zona di mare vicino alle coste, che “appartiene” al paese che vi si affaccia,
chiunque può farci quello che vuole. Purtroppo finora non si è arrivati a formulare
delle leggi che impediscano tali offese. Le annuali giornate degli oceani hanno
lo scopo proprio di diffondere la consapevolezza che essi sono un unico,
gigantesco, “bene comune” e che qualsiasi alterazione in un punto, anche
lontanissimo, fa sentire i suoi effetti negativi su tutta la vita del pianeta,
vita umana compresa.
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