19/05/2015
SM 3768 -- La nuova Via della Seta
La Gazzetta del
Mezzogiorno, martedì 19 maggio 2015
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Ha avuto, a mio parere, limitato rilievo, l’incontro a
Mosca, in occasione dei 70 anni della loro vittoria contro il nazismo e il Giappone,
degli “imperatori” della Russia e della Cina. Non sono, naturalmente, degli imperatori
in senso stretto, perché sono eletti dalle rispettive assemblee: Vladimir
Putin, presidente della Russia, e Xi Jinping, segretario generale del Partito Comunista
Cinese, ma il loro potere è quello di capi di due potenze, imperiali dal punto
di vista economico, che si contrappongono all’Occidente, inteso come Europa, Nord
America e Giappone. Col vantaggio che i due grandi paesi confinano e
rappresentano, di fatto, una grande unità geografica, politica ed economica che
si stende dall’Ucraina, a ovest, all’Oceano Pacifico a est.
Una unità euro-asiatica, che comprende circa un terzo della
popolazione mondiale, in rapido aumento, persone affamate di merci, una unità intorno
a cui gravitano le repubbliche asiatiche ex-sovietiche, terre ricche di materie
prime, e dotata di un grandissimo potenziale scientifico e tecnico al servizio
dell’economia. Nel corso dell’incontro di Mosca i due capi di stato hanno
gettato le basi per una “nuova via delle seta”, riesumando il nome di una pagina
della storia che ha avvicinato la Cina, già un paio di secoli prima di Cristo, ai
popoli della “terra di Roma”, che i cinesi chiamavano Da Qin.
I romani sapevano che, a oriente, esistevano ricchi stati,
da cui venivano preziose e costose merci di lusso, come seta, ambra, profumi,
spezie, zucchero, ma l’accesso a tali paesi era impedito da una invalicabile
barriera costituita dai Parti e da altri popoli. Mentre “Roma” declinava come
potenza, invecchiava ed era afflitta da debolezza politica e militare, nell’Asia
scorrazzavano, fra steppe, pianure, fiumi e montagne, popoli giovani,
aggressivi, “barbari”, secondo la valutazione del mondo greco-romano, che
svolgevano un ruolo di intermediari commerciali fra Oriente e Occidente. Nello
stesso tempo la Cina godeva di un periodo di sviluppo tecnico-scientifico che
destò l’ammirazione dei primi europei, mercanti o missionari, che riuscirono a
raggiungerla dopo l’anno Mille.
La via di comunicazione fra Oriente e Occidente era chiamata
“della seta” perché la seta era la principale merce cinese desiderata dalle
classi dominanti europee. La “nuova via della seta” si propone di collegare con
oleodotti e gasdotti, ferrovie e autostrade, i popoli produttori e consumatori
di materie prime e di merci di cui le economie industriali dell’Occidente hanno
disperato bisogno per la loro stessa sopravvivenza. Si tratta di carbone,
petrolio, gas naturale, minerali di ferro e di altri metalli, fra cui quelli
indispensabili per l’industria elettronica civile e militare, per le macchine
solari e eoliche, per gli autoveicoli del futuro.
I governanti occidentali vanno ad implorare dai governanti
degli stati euroasiatici accoglienza e trattamenti favorevoli per le industrie
dei rispettivi paesi, le quali si offrono come costruttori di oleodotti, fabbriche,
strade, autostrade e ferrovie, città e grattacieli. Imprese che hanno bisogno
di soldi russi e soprattutto cinesi, che sono tanti e che stanno comprando
tutto quello che possono, in Asia e anche in Europa.
Nello stesso tempo i paesi euroasiatici emergenti, usano la
ricchezza proveniente dalle loro materie prime per costruire università e centri
di ricerca e per riscoprire e rivendicare con orgoglio la loro storia, quando,
ai tempi del nostro Medioevo, possedevano industrie della tessitura, agroalimentari,
della carta, motori eolici, impianti di irrigazione, quando avevano osservatori
astronomici, scuole di matematici e fisici, soprattutto dopo la diffusione
dell’Islam. I commerci fra l’Asia e l’Occidente hanno avuto in passato e hanno
oggi, profondi effetti sull’ambiente. Nel Medioevo la diffusione attraverso
l’Asia della coltivazione del gelso e della produzione della seta, della
coltivazione della canna da zucchero e di molte spezie, ha modificato il
paesaggio e l’ecologia dell’Europa e, poi, delle Americhe.
Oggi le miniere asiatiche di minerali di ferro, rame, zinco,
cadmio, oro, lasciano colline di detriti anche radioattivi, le fabbriche
metallurgiche e chimiche immettono nell’aria fumi tossici. Effetti ambientali
negativi, ma anche effetti positivi perché la produzione e l’uso di alcuni “nuovi”
metalli, come quelli delle “terre rare”, forniscono gli strumenti per lo sviluppo
e la diffusione delle fonti energetiche rinnovabili e di tecnologie “verdi”. Lentamente
l’Europa sta dipendendo da paesi di cui non conosciamo né lingua, né storia, né
geografia.
Mi sorprende che nelle nostre Università ci sia poca
attenzione per questa transizione e per preparare i nuovi laureati a
comprenderla. Proprio nell’Università di Bari, della città che si è sempre considerata
porta aperta verso l’Oriente, nel 1946 i fondatori del corso di laurea in Lingue
e letterature straniere presso la Facoltà di Economia e Commercio inserirono
nello statuto un insegnamento di “Storia del commercio con l’Oriente” che fu
attivato nel 1961 e sopravvisse per una diecina di anni. Fu poi abolito quando
il corso di laurea diventò Facoltà autonoma.
Eppure proprio la conoscenza della geografia economica e
merceologica, ma anche della storia e della cultura dei paesi euroasiatici è essenziale
per comprendere che cosa possiamo trarre da loro e che cosa possiamo offrire
come conoscenze tecnico-scientifiche; una grande sfida per giovani studiosi, per
nuove occasioni di lavoro e di imprese e di affari. Le nostre Università,
soprattutto quelle italiane e meridionali, sapranno raccogliere tale sfida ?
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