16/07/2014
SM 3673 -- OGM e scarti
La
Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 15 luglio 2014
Giorgio
Nebbia nebbia@quipo.it
Una
piccolissima notizia: il 9 luglio 2014 il Corpo Forestale del Friuli Venezia
Giulia ha ”distrutto”, sulla base di una legge regionale, il mais OGM coltivato
da un agricoltore. In queste poche righe è riassunto un aspetto di un problema
di dimensioni vastissime e controverso. La nascita degli organismi
geneticamente modificati (OGM) si può far risalite al 1973 quando i biochimici
americani Herbet Boyer e Stanley Cohen hanno osservato che, con manipolazioni
chimiche, era possibile trasferire una parte dei geni, le macromolecole che “governano”
la produzione di proteine e quindi i caratteri della vita, da un organismo ad
un altro.
Trovato
il meccanismo, diventava possibile fabbricare molecole utili e rare, presenti
in alcuni esseri viventi, “insegnando”, se così si può dire, a produrle ad
altri esseri viventi che ne erano privi; per lo più microrganismi che si
riproducono molto rapidamente e che, in breve tempo, sono capaci di
“fabbricare” grandi quantità delle molecole desiderate. La produzione di OGM
con la bioingegneria ha dato subito vita a nuove fiorenti industrie. Boyer fondò
la società Genentech e divenne in breve tempo miliardario (di dollari) e anche
generoso donatore di fondi alla Università dove si era laureato. Mentre i
laboratori scientifici chiarivano i principali aspetti della genetica molecolare,
molte industrie si sono impegnate a cercare delle applicazioni commerciali
utili soprattutto nel campo agricolo: per esempio a produrre sementi di piante
OGM in modo da renderle resistenti all’attacco dei parassiti o capaci di
resistere al vento o alla siccità.
E’
stato un trionfo commerciale e già nel 1983 alcune industrie erano in grado di
vendere sementi modificate geneticamente, salutate con entusiasmo dagli
agricoltori che vedevano così possibile aumentare le rese e quindi i profitti
per ettaro coltivato. Il successo delle industrie aumentò quando nel 1980 la
Corte Suprema degli Stati Uniti affermò che gli organismi OGM potevano essere
protetti da brevetto. Chi voleva, quindi, coltivare piante OGM doveva passare
attraverso il monopolio di poche grandi multinazionali. Un grave peso per i
piccoli agricoltori e per quelli dei paesi poveri, una ironia perché
all’origine le sementi OGM erano state annunciate proprio come strumenti per
sconfiggere la fame nel mondo.
Contro
gli OGM è cominciata immediatamente una vivace contestazione. In primo luogo veniva
contestato il fatto che grandi industrie capitalistiche, protette da brevetti,
potessero diventare “padrone” di alcune forme di vita, considerata per
eccellenza un bene di tutti. Un altro aspetto della contestazione riguarda i
possibili effetti igienici e sanitari di una alimentazione con cibo contenente
parti di piante OGM, complicato dal fatto che non è facile riconoscere, per
esempio, se una margarina contiene lecitina di soia OGM, un nuovo delicato
problema di analisi merceologica. Alla fine c’è una vasta discussione sul
divieto di coltivare piante OGM, sul fatto che derivati di piante OGM (sementi,
farine, grassi) sono o possono essere importati senza dichiarazioni specifiche,
sull’obbligo di indicare in etichetta se un alimento contiene componenti
derivati da piante OGM, sulla massima quantità di tali componenti che possono
essere presenti nei cibi dichiarati “senza OGM”; tutte norme che vedono divisi
i vari paesi del mondo e della stessa Europa e che vedono divisi gli stessi
scienziati.
Insomma
c’è una grande confusione sotto il cielo ed è difficile distinguere chi si
preoccupa del vero grande problema, la scarsità di alimenti per i poveri; chi
difende i prodotti di qualità contro la concorrenza di quelli OGM meno costosi;
chi si arricchisce, le multinazionali dell’ingegneria genetica, e chi, con le nuove tecnologie,
diventa più povero. Ma
non volevo parlare di questo quanto piuttosto delle parole delle prime righe: “distruzione
di raccolti”. Nel mondo vengono distrutti ogni anno miliardi di tonnellate di
materiali alimentari perché violano le leggi merceologiche o sanitarie dei vari
paesi, o perché sono eccedenze invendute, o perché sono andati a male, o perché
sottoprodotti delle coltivazioni agricole, o delle trasformazioni
agroindustriali, eccetera. Eppure esistono tecniche per trasformare questa
materia naturale “di scarto” in materie “utili”. La microbiologia mette a
disposizione processi per trasformare le varie componenti di tali scarti (zuccheri,
amidi, cellulosa, proteine, grassi) per esempio in fonti di energia.
Dai
carboidrati, compresa la cellulosa, si può ottenere alcol etilico da usare come
surrogato della benzina, quel carburante alternativo che oggi è prodotto nel
mondo in quantità crescente utilizzando raccolti che altrimenti potrebbero
avere impiego alimentare; uno scandalo che giustifica la denuncia secondo cui i
paesi ricchi tolgono il mais di bocca ai poveri per far correre i loro SUV. Da
molti residui si può ottenere il gas combustibile metano. Senza contare che la
“distruzione” e lo spreco di prodotti agricoli e forestali fa sì che molti
vengano buttati nell’ambiente, nei fiumi o sepolti nel terreno, fonti di
inquinamento delle acque e dell’aria.
Io
credo che una saggia politica insieme economica ed ecologica farebbe bene a
fare un inventario di quante materie agricole e forestali vengono distrutte e
perdute in Italia (valutabili in oltre 100 milioni di tonnellate all’anno, in
parte nel Sud agricolo) e ad incoraggiare tecniche e processi che consentano di
utilizzare tali scarti per produrre materie utili, stimolando innovazione
scientifica, nuove imprese, creando lavoro e proteggendo anche la qualità
dell’ambiente.
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