14/08/2010
SM xxxx -- Ospitalità -- 2010
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 3 agosto 2010
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Nell’analisi dei problemi ambientali troppo poca attenzione è dedicata, a mio parere, alla quantità e alla qualità della popolazione umana. Le modificazioni ambientali, dall’inquinamento, all’erosione del suolo, allo sfruttamento delle risorse minerarie e fossili, alla produzione di rifiuti, sono proporzionali a tre principali fattori: il numero di persone, la qualità delle merci e dei servizi disponibili, e la capacità che ciascuna persona ha di usare merci e servizi; a sua volta, tale capacità dipende dall’età. Nel corso del suo ciclo vitale una persona ha “bisogni” merceologici molto diversi. Abbastanza modesti nei primissimi anni di vita; a mano a mano che una persona cresce aumentano anche i bisogni, diretti (acqua, cibo, spazio abitabile, conoscenze) o indotti (vestiti, strumenti tecnici, divertimenti, eccetera).
Molto desiderabili, ai fini dei produttori di merci, sono le fasce giovanili di età e lo dimostra il tipo della pubblicità che a loro è rivolta. Diversi sono i bisogni delle persone nell’età lavorativa, in cui è maggiore, in genere, il reddito, ma i consumi sono determinati piuttosto dalle necessità dalla comunità familiare. Esiste infine una età matura, diciamo al di là dei 65 anni, in cui cambiano i bisogni e la qualità e la quantità delle merci e dei servizi richiesti; aumentano quelli legati alla conservazione della salute e, con l’avanzare dell’età, nelle società come la nostra, aumenta la necessità di assistenza e quella di far fronte alla solitudine. Nei paesi a economia avanzata diminuisce la popolazione originaria e aumenta l’immigrazione: la popolazione italiana da anni è stazionaria fra 58 e 60 milioni di persone, di cui una frazione crescente è costituita da immigrati da altri paesi europei o da paesi extracomunitari.
La popolazione italiana “originale” sta diminuendo perché le famiglie fanno meno figli; il giudizio se questo è bene o male è problema discusso degli specialisti di morale e di etica. Dal punto di vista ambientale interessa analizzare come variano i bisogni e i consumi materiali di una popolazione originale che diventa sempre più vecchia e quelli della crescente immigrazione. Molti degli immigrati lavorano nell’artigianato, nell’edilizia, muratori che si arrampicano sulle impalcature in mezzo alla polvere di cemento e ai pericoli, molti sono addetti alla zootecnia, alla raccolta dei prodotti agricoli nei campi, lavorano nei ristoranti, nell’assistenza agli anziani, come infermieri, anche se aumenta il numero di piccoli professionisti che prestano servizi di manutenzione. Alcuni sono clandestini, migranti stagionali, molti di questi sono “irregolari”, clandestini, per le nostre leggi; molti sono disoccupati e molti di quelli che lavorano non hanno assicurazioni, protezione contro i pericoli, assistenza medica in caso di incidenti, non hanno prospettive di pensione, sono facilmente esposti a ricatto se reclamano un qualche diritto civile e umano, accettano paghe ridotte e rischi spesso mortali per poter mandare soldi alle loro famiglie povere lontane, spesso vivono in abitazioni miserabili, talvolta in baracche, percorrono chilometri per raggiungere gli occasionali posti di lavoro.
Gli studiosi di economia del lavoro potrebbero dare indicazioni su quello che l’economia del paese nel suo complesso potrebbe guadagnare se aumentassero gli immigrati legali e se fossero retribuiti secondo la legge; i sociologi possono spiegare come la legalizzazione del lavoro immigrato clandestino potrebbe contribuire a sconfiggere la criminalità. A mio modesto parere per continuare ad esistere l’Italia ha bisogno di immigrati e la loro presenza ha effetti sull’ambiente a vari livelli; i circa sei milioni di persone, fra immigrati regolari e “irregolari”, in gran parte giovani in età lavorativa, hanno bisogno di acqua, di alimenti, di energia, di oggetti di consumo, di spazio abitabile, spesso in forme diverse da quelle degli abitanti originali. Pensiamo a come potrebbe essere pianificata una edilizia rivolta a togliere alcuni milioni di immigrati dalle condizioni spesso disumane in cui abitano; potrebbe trattarsi di una richiesta di due o tre milioni di nuovi vani di edilizia popolare a basso prezzo e a basso affitto, secondo un piano simile a quello delle cooperative di edilizia popolare degli anni settanta che ebbe effetti sull’occupazione in edilizia e sul benessere di milioni di famiglie.
Per quanto riguarda i consumi una parte degli immigrati ha bisogno di servizi scolastici ed educativi e una ragionevole politica scolastica potrebbe essere orientata da una parte a spiegare agli immigrati la lingua e i caratteri del paese in cui sono arrivati, e dall’altra parte a trarre dagli immigrati una parte dell’enorme ricchezza e varietà culturale portata dai paesi di origine, il che aiuterebbe le giovani generazioni di italiani a sentirsi parte di un mondo davvero unico, globale. Ci commuoviamo perché è in pericolo la biodiversità vegetale e animale, ma ben poco viene fatto per valorizzare la biodiversità delle persone. Non credo si tratti di utopie. Intanto questa integrazione, che finora è praticata soltanto da poche organizzazioni di volontariato, per lo più cristiane, sarebbe, oltre che utile, proprio un dovere cristiano, per chi si sente tale. Paolo nella lettera agli Ebrei avverte: “Non dimenticate l’ospitalità: alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”.
L’importanza dell’immigrazione appare chiara se si osservano gli effetti dell’immigrazione meridionale nell’Italia settentrionale nel secondo dopoguerra; negli Stati Uniti, ma anche in molti paesi europei ex-coloniali, gli immigrati hanno portato nuove conoscenze e nuove ricchezze. Gli autori di un numero crescente di pubblicazioni scientifiche americane hanno cognomi chiaramente di origine indiana, cinese, latinoamericana; alcune città americane sono ormai bilingui.
Con l’immigrazione cambiano i consumi e i relativi effetti ambientali; un capitolo dell’ecologia umana che merita di essere affrontato al di là del miope razzismo municipale che intossica l’Italia.
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