VARIE Stampa
15/12/1996

Il processo dell'invenzione -- SM 1938 -- 1996

La Gazzetta del Mezzogiorno, 15 dicembre 1996

 

Sul processo di invenzione

 

Giorgio Nebbia

 

 

Ogni tanto qualche studente o giovane laureato mi chiede un consiglio su come scoprire qualcosa di nuovo, soprattutto da sfruttare a fini commerciali, o mi sottopone l'idea di  qualche nuova "invenzione". Io consiglio a tutti di cominciare col capire il meccanismo con cui si è arrivati alle scoperte che hanno portato alle merci che oggi riempiono le case e i negozi. La sede dell' "invenzione" è spesso, ma non sempre, l'Università e la ricerca scientifica "pura". I casi più clamorosi che mi vengono in mente sono rappresentati dall'estratto di carne e dal polipropilene.

 

L'"invenzione" dell'estratto di carne è dovuta a un professore universitario tedesco, Justus von Liebig (1803-1873), un colosso della chimica, della biologia e delle scienze agronomiche.  A lui si deve la scoperta del meccanismo con cui le piante "si nutrono", traendo dal suolo alcuni degli  elementi necessari per la loro crescita: l'azoto, il potassio e il fosforo.

 

Nello straordinario ventennio 1840-1860 queste ed altre scoperte diedero vita all'industria dei concimi artificiali fosfatici, ottenuti per trattamento con acidi dei minerali ricchi di fosforo, e all'uso del nitrato di sodio, di  cui esistevano grandi giacimenti nel Cile, come concime azotato. Ma anche con il miglioramento delle rese agricole, consentito dall'uso dei concimi artificiali, cominciava a scarseggiare il cibo per una popolazione in rapido aumento: Malthus  pochi anni prima aveva detto che, se la popolazione mondiale continuava ad aumentare così, molti nuovi terrestri avrebbero sofferto  la fame. Benché nei pascoli delle grandi pianure americane ci fossero innumerevoli animali, la loro carne non poteva arrivare in Europa perché occorrevano settimame per attraversare l'oceano  e la carne andava a male  durante  il viaggio.

 

Perché, si chiese Liebig, non macellare gli animali nel Sud America e preparare sul posto un "concentrato" delle sostanze nutritive della carne, un "succo" concentrato da trasportare poi  in Europa ? Il problema tecnico fu ben presto risolto e nel 1864 Liebig suggerì la costruzione  a Fray Bentos, in Uruguay, di una fabbrica in cui la carne bovina veniva bollita per ottenere un "brodo", ricco di sostanze azotate e nutrienti, che veniva poi concentrato; questo "estratto di carne" poteva essere facilmente trasportato nell'affamata Europa. Sulle confezioni dell'"estratto di carne Liebig", che sono ancora in commercio, figura, con i suoi svolazzi  ottecenteschi, la firma del grande chimico tedesco che ha salvato milioni di persone dalla morte per denutrizione.

 

Sempre a proposito dei favolosi anni della metà dell’Ottocento, guardate i vestiti che portate addosso: sono tutti colorati a colori più o meno vivaci e tutti gli attuali coloranti sono "figli" di un'invenzione fatta nel 1856 da un giovanotto inglese di diciotto anni, William  Perkin  (1838-1907). Perkin che lavorava come studente nel laboratorio di von Hoffman nel Collegio reale di chimica di Londra, nel 1856 preparò, quasi per caso, partendo dall'anilina, il primo vero e proprio colorante sintetico: la malveina. A differenza di Liebig, che fu insieme professore universitario e imprenditore, Perkin abbandonò subito l'Università e si mise a  fabbricare per proprio conto il colorante che aveva sintetizzsato e poi molti altri, con tanto successo che fu nominato baronetto dell'impero inglese.

 

La scoperta della malveina innescò, in pochissimo tempo, la messa a punto dei processi per ottenere sinteticamente innumerevoli coloranti, molto più numerosi, e migliori, di quelli che  fino allora erano stati estratti da fiori e piante. Queste invenzioni fecero addirittura sparire intere  coltivazioni agricole in molti paesi.

 

L'altra invenzione nata in un laboratorio universitario si ebbe in Italia negli anni cinquanta del Novecento e fu dovuta a Giulio Natta (1903-1979), professore di chimica a Milano e premio Nobel per la chimica nel 1963. Già negli anni trenta era stato osservato che alcune semplici molecole organiche gassose, per lo più derivate dalla  raffinazione  del petrolio, avevano una struttura che  permetteva, in  particolari  condizioni, la  trasformazione  in  sostanze solide, elastiche, resistenti all'acqua e agli acidi.

 

Immaginate  che nelle molecole di partenza alcuni atomi possiedano una specie di "gancio" (i chimici lo chiamano doppio legame) che può essere aperto in modo che due molecole simili si uniscano fra loro, dopo di che altre molecole si uniscono, fino a formare una specie di lunga catena. Dalla  molecola gassosa di partenza, detta monomero, si ottengono così  numerosi "polimeri" (il nome, derivato dal greco, sta ad indicare che la molecola del polimero ha un "peso" che è un  multiplo del peso della molecola originale).

 

L'etilene,  un gas, è un monomero che può essere  trasformato in  polietilene (il polimero); il polietilene, o politene,  è la  materia plastica del "sacchetto" della spesa o di  quello in cui mettete la spazzatura. Le scatole bianche in cui viene conservato  freddo  il pesce o il gelato sono  fatte  di  una speciale  forma di polistirolo, il polimero dello stirolo.  E così via. Come vedete, siamo circondati di "chimica". La polimerizzazione è un'operazione che richiede  particolari pressioni  e temperature e soprattutto dei "catalizzatori", sostanze che "accelerano" il processo di unione a catena delle molecole del monomero.

 

C'era però, nei primi anni cinquanta, una molecola difficile da polimerizzare, il propilene, un abbondante sottoprodotto della fabbricazione industriale dell'etilene dal petrolio. Natta a  Milano riuscì, nel 1954, dopo molti  anni  di  duro lavoro,  a  individuare  le condizioni  in  cui  è  possibile "dominare"  e "orientare" la polimerizzazione  del  propilene per ottenere materie plastiche diversissime e utili.

 

Col polipropilene è possibile fabbricare recipienti resistenti agli acidi e alle alte temperature (chi ricorda il "moplen" pubblicizzato dalla Montecatini nei primi "Caroselli" televisivi ?); fili più o meno sottili e molto resistenti, adatti per indumenti o per reti; pellicole  trasparenti  e durature; tubi per l'acqua, e infiniti altri oggetti commerciali. La possibilità di ottenere polimeri sia dall'etilene sia  dal propilene fece nascere l'industria petrolchimica moderna.  Il primo polipropilene fu prodotto a Ferrara nel 1957 dalla Montecatini, che aveva finanziato le ricerche di Natta; nel 1962 fu aperto il grande stabilimento petrolchimico di  Brindisi.

 

I mercati si stancano però presto di ogni innovazione:  altri prodotti  soppiantano  i vecchi: alcune  produzioni  si  sono trasferite  dall'Italia  ai  paesi  sottosviluppati  dove  la materia prima o la mano d'opera costano poco. I mercati aspettano continuamente altre invenzioni: oggi è il tempo delle innovazioni dell'elettronica, ma il mondo della natura ha ancora  innumerevoli misteri e segreti, la cui esplorazione può dar vita a nuove occasioni di lavoro e  di produzione.

 

A chi toccherà svelare tali misteri e riempire i negozi di nuove  merci ? Può toccare forse a qualcuno dei lettori, ma non basta "voler" inventare per avere successo. La scoperta nasce o  arriva, talvolta col contributo del caso, dallo studio e dall'osservazione del mondo  circostante, dalla lettura e dall'informazione ottenuta, con pazienza e costanza, consumando il fondo dei pantaloni --- una poco elegante, ma suggestiva espressione tedesca spiega che bisogna “Lernen mit Sitzfleisch” --- seduti davanti ai libri (anche per essere certi che qualcuno non abbia già fatto la stessa osservazione o scoperta), o consumando i gomiti dei camici sui banchi dei laboratori. Non si dimentichi infatti mai la vecchia massima che "il caso aiuta la mente preparata".



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