01/03/1999
La terza rivoluzione industriale -- SM 2099 -- 1999
Inquinamento, 41, (3), 82-85 (marzo 1999)
La terza rivoluzione industriale
Giorgio Nebbia
L’importanza dei nomi
Il recepimento, col “decreto Ronchi”, delle norme europee nel campo dei rifiuti, rappresenta una straordinaria occasione per innovazioni e per la crescita della cultura tecnica e industriale del nostro paese.
Intanto esso mette un certo ordine nella stessa nomenclatura dei materiali da trattare: rifiuti, residui di lavorazione, materie suscettibili di trattamento e di riciclo --- rispetto a periodi in cui i nomi cambiavano anche di anno in anno, e c’è da sperare che, superate alcune controversie ancora sospese con l’Unione europea, i nomi non cambino più per un bel po’, in modo che in tutta Europa, più o meno, si sappia con che cosa si ha a che fare. Con tale confusione terminologica si è dovuto confrontare chiunque abbia avuto a che fare col problema dei rifiuti e chiunque abbia dovuto compilare i moduli per la denuncia dei rifiuti e delle materie associate.
Vorrei cominciare con la modesta proposta, per qualche editore, di organizzare la redazione di una specie di ”Dizionario di merceologia dei rifiuti”, simile a quello che, all’inizio dell’industrializzazione italiana, redasse Vittorio Villavecchia per le merci. Il ”Dizionario di merceologia e chimica applicata” del Villavecchia, pubblicato dall’editore Hoepli di Milano in cinque edizioni e in migliaia di copie fra il 1895 e il 1935, ha rappresentato, per la prima metà del Novecento (e anche oltre) la guida più importante per gli operatori nei settori della produzione e del commercio interno e internazionale.
Il “decreto Ronchi” fissa delle linee di lavoro che dovrebbero rappresentare la guida per i prossimi anni, forse decenni: al primo posto il ricupero di materiali dai rifiuti. L’esperienza, ormai di molti decenni, di molti altri paesi mostra che l’operazione non è facile, ma può essere remunerativa e può creare nuova occupazione, purché ci si renda conto che siamo di fronte a una grande svolta nelle operazioni industriali, forse una “terza” rivoluzione industriale dopo quella del carbone e dell’acciaio, e quella del petrolio, dell’elettricità e dell’alluminio.
Il ciclo tradizionale di trasformazione delle materie prime in merci deve essere modificato considerando di partire, al posto delle materie prime tradizionali, da altre “materie” che possono essere, a volta a volta, i rifiuti tali e quali, alcune frazioni ottenute dalla raccolta separata dei rifiuti, alcuni materiali semilavorati derivati da un primo trattamento di tali rifiuti. Non è una situazione sostanzialmente differente da quella che incontrarono i primi imprenditori quando si trovarono di fronte alla necessità di trasformare i minerali di ferro, alluminio, rame, o il carbone, in merci.
La merceologia delle materie da riciclare
Il successo di queste nuove operazioni dipende dalla disponibilità di adeguati metodi di analisi; anche i minerali e i fossili provenienti da vari paesi avevano differenti caratteristiche e anche allora fu necessario conoscere tali caratteristiche per mettere a punto metodi di trasformazione adattati a ciascuna “partita” di materia prima. Nel caso dei rifiuti ciascun processo di riciclo deve tenere conto delle caratteristiche del materiale da trattare, come ben sanno le imprese che già operano nel settore.
Mentre, bene o male, si è andata sviluppando una cultura di chimica analitica applicata e industriale in relazione ai minerali e alle materie prime tradizionali, occorre adesso sviluppare nuovi metodi di analisi per le “nuove” materie --- carta straccia, rottami di vetro, rottami metallici, vari tipi e miscele di materie plastiche usate --- destinate alla trasformazione in nuove merci.
Un compito tutt’altro che facile perché, con i minerali tradizionali, si dovevano fare i conti soltanto con la natura, che in ciascun giacimento o in ciascuna foresta aveva fatto i minerali o i fossili o il legno più o meno tutti uguali; qui ci troviamo di fronte a merci usate che hanno avuto ciascuna una sua storia naturale, che sono state fabbricate con aggiunta di sostanze, additivi, agenti modificanti su cui in genere non si sa niente, anche se la presenza di ciascuno di questi agenti modificanti può influenzare il processo di riciclo, la temperatura di fusione o lavorazione durante il riciclo, la resa di merce riciclata e le sue caratteristiche.
Non solo: le caratteristiche della materia da riciclare influenzano la sicurezza dei lavoratori e la quantità e il tipo di altri rifiuti che, inevitabilmente, il processo di riciclo genera.
Il vetro usato destinato al riciclo, per esempio, non deve contenere sostanze contaminanti che potrebbero essere state presenti, intenzionalmente o anche involontariamente nella miscela di rottame riciclato. La cosa si fa più complicata in quanto una parte dei rottami metallici, della carta straccia, dei rottami di vetro sono di importazione e spesso non ne è chiara la provenienza e la composizione. Molti lettori ricorderanno le conseguenze della scoperta della contaminazione radioattiva di rottami di ferro o di alluminio provenienti dai paesi dell’est dopo l’incidente di Chernobil.
E’ abbastanza ovvio che non sono il primo a pensare ad una chimica analitica dei rifiuti; ci sono numerose imprese che producono strumentazione analitica per speciali casi, decine di laboratori che effettuano analisi per le imprese impegnate nel riciclo, e decine di analisti che si sono specializzati nella soluzione di alcuni degli innumerevoli problemi che le imprese del riciclo stanno affrontando ogni giorno.
La mia osservazione è rivolta al mondo universitario che potrebbe avere un ruolo importante nella diffusione di una cultura di chimica analitica applicata rivolta a campi e problemi in continuo mutamento.
Come riciclare ?
Molto schematicamente si può immaginare che i processi di riciclo siano di due tipi. In qualche caso si parte da manufatti complessi come autoveicoli, elettrodomestici, computers, eccetera, che devono essere smontati, separati nelle varie parti, ciascuna della quali è avviata ad un processo di riciclo vero e proprio: metalli, gomma, plastica, vetro, eccetera.
Il successo di questa operazione, destinata a farsi sempre più importante (si pensi ai milioni di mezzi di trasporto “rottamati” ogni anno, o ai milioni di televisori, computers, giochi elettronici buttati via ogni anno), dipende dalla realizzazione di uno scambio di informazioni fra produttori dei manufatti e ”rottamatori”.
L’ideale sarebbe che all’origine ogni oggetto fosse progettato in modo da poterlo smontare facilmente, e senza pericolo e danno ambientale, nelle parti destinate al riciclo, ma per decenni ancora, almeno fino a quando resteranno in vita i manufatti esistenti, fabbricati negli anni e decenni passati, e non saranno stabiliti accordi di standardizzazione nella progettazione, tutti coloro che si occuperanno di ricupero di materiali dai rifiuti dovranno fare i conti con questa difficoltà.
Si pensi per esempio che di molte parti di macchine non si sa più con quali leghe o miscele sono stati fatti, che molti oggetti di materia plastica fabbricati nei decenni passati contengono miscele di additivi, plastificanti, coloranti di cui si è dimenticata la composizione e concentrazione; fatti aggravati dal fatto che spesso si ha a che fare con manufatti e macchinari e dispositivi fabbricati all’estero e che alcuni fabbricanti sono scomparsi dalla circolazione, con tutto il loro archivio. E a questo punto torna di nuovo l’importanza di adeguati metodi di analisi dei residui di tali oggetti.
In altri casi si tratta di mettere a punto processi di riciclo e trasformazione di materiali --- carta straccia, rottami di vetro o di metalli, plastica, eccetera --- la cui composizione può essere conosciuta con una certa accuratezza. Qui siamo di fronte ai problemi tradizionali dell’industria manifatturiera, con alcune varianti: può essere necessario adottare nuovi macchinari, o modificare quelli dei cicli produttivi esistenti (un problema ben familiare a chi produce carta utilizzando in parte anche carta straccia, per esempio carta da giornali) e ci si trova di fronte alla valutazione dei consumi di energia e soprattutto della composizione degli agenti inquinanti dell’aria o delle acque che si formano durante il riciclo, consumi e inquinamenti diversi da quelli dei processi che partono da materie “vergini”.
I fanghi di disinchiostrazione possono contenere sostanze di difficile smaltimento, i fumi della rifusione delle materia plastiche possono avere effetti inquinanti, e così via. Fino a quando si sapeva da quali materie prima “naturali” si partiva, poteva essere relativamente facile mettere a punto filtri e abbattitori di polveri, gas e sostanze inquinanti abbastanza prevedibili e abbastanza costanti.
Nel caso dell’industria del riciclo, gli agenti inquinanti possono variare da partita a partita (di rottame di vetro, di carta straccia, di miscele metalliche) e vi è un vasto campo di innovazione per processi di abbattimento e depurazione di numerosi nuovi cicli produttivi.
Anche in questo caso molto è già noto: una paziente esplorazione di Internet mostra che esistono innumerevoli “siti” in cui sono indicate esperienze, insuccessi e successi di “riciclatori” sparsi per il mondo. Coloro che in Italia vorranno estendere le attività di riciclo, per le quali ci sarebbe da auspicare la nascita di molte aziende medie e piccole, diffuse nelle varie parti d’Italia, difficilmente potranno “arrangiarsi” da soli a procurarsi le informazioni.
Uno dei compiti importanti dell’Agenzia nazionale per l’ambiente (l’ANPA, equivalente alla Environmental Protection Agency americana), possibilmente con la collaborazione delle Università e dello stesso Consiglio nazionale delle ricerche, dovrebbe essere quello di raccogliere e far circolare informazioni tecniche e pratiche per i riciclatori. Immagino una specie di “sportello” a cui gli operatori possano rivolgersi per ottenere le risposte che sono disponibili nel mondo, ma che un singolo imprenditore può non avere i mezzi, il tempo e i soldi per ottenere.
La merceologia delle merci riciclate
Le operazioni di riciclo, finora intese soltanto come un sistema “ecologico” per liberarsi di una parte dei rifiuti, sono in realtà delle vere e proprie operazioni industriali che producono delle merci che si devono vendere, altrimenti cade tutta l’operazione.
Il successo commerciale delle merci riciclate dipende quindi dalla soluzione di altri delicati problemi di caratterizzazione attraverso gli strumenti della chimica analitica e merceologica. Un punto importante del “decreto Ronchi” riguarda l’intenzione della pubblica amministrazione di incentivare la vendita delle merci riciclate; non basta infatti ubbidire alle norme europee che prescrivono un aumento del recupero di materie dai rifiuti, se le merci ottenute attraverso il riciclo non hanno un adeguato mercato. Un certo mercato, soprattutto nel campo della cartoni, già esiste; la carta dei giornali è già fatta con una certa percentuale di carta di ricupero; le vetrerie impiegano una certa percentuale di rottami di vetro nelle miscele da fondere per la produzione del vetro.
Ma un aumento dei processi di riciclo dei materiali ricavati dai rifiuti può portare ad un afflusso sul mercato di merci riciclate di non facile smaltimento. Senza contare che anche qui è possibile che le imprese italiane si trovino di fronte alla concorrenza di merci riciclate di altri paesi comunitari, o forse anche al di fuori della Unione europea, offerte a basso prezzo proprio perché trovano difficoltà ad essere commerciate nel loro paese di origine, oppure perché nei paesi di origine esistono incentivi al riciclo dei rifiuti, per cui la materia prima può venire a costare quasi niente.
Proprio per assicurare e dilatare il “mercato” delle merci riciclate il “decreto Ronchi” prevede che gli uffici pubblici debbano acquistare una percentuale di carta riciclata, una lodevole proposta che peraltro ricalca una simile iniziativa legislativa di molti anni fa, miseramente fallita.
Assicurare un mercato alle merci riciclate è un’operazione difficile e delicata sotto almeno tre aspetti. Il primo riguarda la definizione di merce riciclata: nel caso della carta si legge continuamente che una carta o cartone è fatto con carta riciclata, ma il consumatore non sa che cosa questo significa. La carta o l’imballaggio che acquista contiene il 10 o il 70 per cento di fibra riciclata ? e di fibra proveniente dal riciclo di quali materiali ? Talvolta neanche chi commercia carta straccia e chi impiega carta straccia nei suoi cicli produttivi ha informazioni esatte su quello che sta trattando.
Il problema riguarda non soltanto i produttori, ma anche i consumatori che, si può prevedere, diventeranno sempre più attenti sulle promesse di “ecologicità” di quello che comprano. Le caratteristiche delle merci riciclate sono ovviamente influenzate dalle caratteristiche merceologiche delle materie sottoposte a riciclo alcune delle quali possono contenere sostanze contaminanti che possono ritrovarsi nelle merci riciclate.
Finora non è stata prestata grande attenzione a questi aspetti, che possono influenzare la salute umana, ma è prevedibile che, per le merci ottenute con quantità più o meno grandi i materie ottenute dai rifiuti, vengano richiesti controlli e norme igieniche sempre più rigorose. E possono sorgere nuovi problemi di responsabilità dei produttori nei confronti di eventuali danni ai consumatori derivanti dalla presenza di sostanze contaminanti nelle merci riciclate.
Ecco che ritorna la necessità di mettere a punto e perfezionare metodi di analisi delle merci riciclate in grado di controllare il rispetto di standards merceologici che, inevitabilmente, le pubbliche amministrazioni dei vari paesi dovranno elaborare.
Si tenga presente che gli standards sulle merci riciclate possono diventare incentivi, ma anche ostacoli, nei commerci internazionali. Un esempio si è avuto negli anni scorsi nel commercio del cardato ottenuto dagli stracci; la Germania ha vietato l’importazione e il commercio di tessuti cardati ottenuti dagli stracci perché i produttori non erano in grado di garantire che gli stracci impiegati non erano stati colorati con coloranti, derivati da ammine aromatiche, il cui uso era vietato in Germania.
Che cosa poteva sapere, il tessitore, dei coloranti presenti negli stracci impiegati, che provenivano da tessuti colorati chi sa dove, chi sa quando ? Una norma emanata nel nome della difesa della salute dei consumatori tedeschi poteva così diventare uno strumento di discriminazione verso i tessuti prodotti in Italia.
Il terzo punto riguarda la rimozione degli ostacoli al commercio dei prodotti riciclati. Esistono certamente delle norme e capitolati, stratificati da decenni, che, per motivi vari, in parte igienici, in parte di concorrenza fra produttori, stabiliscono che certi manufatti o oggetti debbano essere fatti con materie prime “vergini”. Penso ad alcuni tipi di carta, ad alcuni tessuti, eccetera. Il ministero dell’ambiente farebbe una cosa buona se interrogasse gli uffici della pubblica amministrazione per conoscere quali ostacoli normativi o regolamentari o consuetudinari esistono all’acquisto di merci fatte con materiali riciclati.
Non c'è dubbio, infatti, che le merci riciclate ottenute da “materie seconde” possono porsi, in concorrenza con le merci fabbricate utilizzando materie prime i cui produttori possono essere indotti a scoraggiare la vendita delle merci riciclate. Per evitare queste distorsioni del mercato occorrono norme rigorose, metodi di analisi collaudati, e, soprattutto, una chiara linea di politica industriale ed ecologica.
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